La storia rimane.
di Cesare Galla (Caposervizio Spettacoli, Il Giornale di Vicenza)

La storia rimane. La memoria non si disperde. La storia e la memoria di un teatro che per due secoli e quattro anni � stato il pulsante cuore musicale di Venezia, e insieme un capoluogo internazionale di quel "bene culturale" prezioso che � l�opera (riconosciuto all�estero, indecorosamente bistrattato da troppi fra coloro che reggono la cosa pubblica in Italia), sono affidati a un archivio di inestimabile valore.
Le fiamme non l�hanno divorato, perch� non l�hanno trovato. Trasferito da qualche tempo nella sede della Fondazione Levi, "digitalizzato" con un lavoro accurato e innovativo che si concretizzer� nella pubblicazione di tre Cd-Rom, l�archivio storico della Fenice (da cui scaturisce la provvida cronologia degli spettacoli pubblicata in due volumi da Albrizzi per iniziativa degli Amici della Fenice) rimane con libretti, bozzetti, appunti di compositori e registi a segnare le tappe della vicenda gloriosa di uno degli indiscussi centri nevralgici del teatro in musica dalla fine del Settecento a oggi.
Mentre la Repubblica Veneta si avvicinava all�agonia (Campoformido avrebbe posto fine all�indipendenza di l� a pochi anni anni) una lite giudiziaria creava le premesse per la nascita della Fenice. Una sentenza della Quarantia Civil Nuova dell�8 giugno 1787 imponeva infatti alla Nobile Societ� che gestiva il teatro di San Benedetto (85 tra "Kavalieri e Mercanti") di cedere l�intera fabbrica ai fratelli Nicol� e Alvise Venier, proprietari del fondo su cui essa sorgeva. I palchettisti "sfrattati", orgogliosamente, decisero subito di fondare un nuovo e pi� grande teatro. Esisteva un decreto che dal 1756 proibiva la costruzione di nuove sale, ma la Societ� aveva chiaramente le "entrature" giuste: il Consiglio dei X approv� la supplica per ottenere la deroga il giorno stesso in cui fu presentata.
Nel giro di cinque anni, dopo il concorso per il progetto, vinto da Giannantonio Selva, la Fenice era realt�: un teatro di magnificenza mai vista prima a Venezia, per il quale era stata spesa l�astronomica somma di 400 mila ducati, raccolta con reiterati esborsi da parte dei soci. Il progetto di Selva aveva dalla sua, oltre ai grandi pregi architettonico-estetici, soluzioni particolarmente innovative sul piano tecnico, a partire dalla sala a ferro di cavallo. �� dessa composta - si legge in un documento dell�epoca - di un semicerchio e di due sezioni di cerchio prolungate per il tratto di otto palchetti; con che la lunghezza della sala acquista la proporzione di otto a sette in confronto della sua larghezza, e l�apertura del palcoscenico quella di due a tre comparativamente alla larghezza�.
Ne derivava un miracolo di acustica, e anche un�ottima visibilit� da tutte le posizioni della sala. Inaugurata con Paisiello (I giuochi d�Agrigento) il 16 giugno 1792, la Fenice ebbe fin dall�inizio, grazie all�incisivit� di un�illuminata gestione, un respiro internazionale. Mentre numerose altre istituzioni musicali veneziane erano coinvolte nella profondissima crisi politica della Serenissima (dei quattro "ospedali" - scuole di musica per orfani e illegittimi - attivi ai primi del �700 resisteva solo quello della Piet�, e numerosi teatri attraversavano difficolt� notevoli e andavano riducendo la loro attivit�), l�elegante sala di Campo San Fantin diventava lo snodo attraverso cui si realizzava l�evoluzione dell�opera. Qui Cimarosa realizzava la migliore delle sue poche tragedie in musica (Gli Orazi ed i Curiazi - 1796); qui Rossini iniziava e concludeva la sua bruciante, strepitosa parabola "italiana", fra Tancredi (1813) e Semiranide (1823), empirei belcantistici sublimati dall�arte di interpreti del calibro di Adelaide Malanotte e Isabella Colbran, gi� diventata la signora Rossini.
Prima del disastroso incendio del 1836, che nella bisecolare storia della Fenice avrebbe comunque rappresentanto soltanto un trascurabile "incidente di percorso", il nascente melodramma romantico avrebbe trovato nell�arte di Bellini (Capuleti e Montecchi -1830 - e Beatrice di Tenda - 1833) e di Donizetti (Belisario - 1836 - ma anche Maria di Rudenz, andata in scena poco dopo la ricostruzione, nel 1838) espressioni di gi� irruente profondit� melodrammatica, ancora coniugata per� con l�astrazione della coloratura vocale. Erano gli anni in cui "stelle" della lirica come Giuditta Pasta e Giuditta Grisi erano frequenti eroine sulla scena della Fenice, cui approdavano del resto, oltre alle citate prime assolute, tutti i grandi tittoli del repertorio in tempi ravvicinatissimi, a confermare una "centralit�" culturale di livello internazionale.
Gli anni centrali dell�Ottocento, quelli a cavallo della met� del secolo, dovevano se possibile esaltare ancora di pi� il ruolo fondamentale del teatro nella quindicennale, fondamentale collaborazione con Giuseppe Verdi. Dal 1844 (Ernani) al 1857 (Simon Boccanegra) attraverso Attila (1846), Rigoletto (1851) e La traviata (1853), le commissioni fenicee segnano un capitolo fondamentale nello sviluppo del melodramma romantico italiano, e nell�evoluzione dell�arte stessa di Verdi, fino ai conseguimenti assoluti di due dei tre titoli delle celebrata trilogia popolare Rigoletto-Trovatore-Traviata. Una vera e propria rivoluzione drammaturgico-musicale, che il famigerato fiasco della Traviata evidenzia per contrasto e che da solo potrebbe consegnare definitivamente alla storia il palcoscenico veneziano (dove fra l�altro Trovatore arriv� a pochi mesi dalla prima romana). Il culmine verdiano doveva essere anche il punto pi� alto, in tutto il secolo, di un�attivit� che pur conservando l�attenzione per i fermenti nuovi nel mondo melodrammatico non avrebbe pi� visto, in sostanza, nascere sul palcoscenico della Fenice opere nuove. Questo non ha impedito per� che il massimo teatro veneziano continuasse a rappresentare un punto di riferimento ineliminabili per generazioni di grandi interpreti (cantanti e direttori d�orchestra) e di compositori. Ma se un qualche appannamento della portata internazionale del teatro c�era stato, soprattutto fra le due guerre mondiali, la strepitosa stagione determinata anche dalla collaborazione con la Biennale di musica contemporanea, iniziata nel 1948 con il balletto Marsia di Dallapiccola, e proseguita poi con La carriera di un libertino di Stravinskij (1951), Il giro di vite di Britten (1954), L�angelo di fuoco di Prokofiev (1955), Intolleranza di Nono (1960), Hyperion di Maderna (1964) ha visto la Fenice riconquistare le luci della ribalta culturale mondiale, conservata poi anche nella programmazione "di tradizione", che l�ha vista fra l�altro protagonista nella rinascita del belcanto, con Maria Callas e Marilyn Horne, e del repertorio barocco. Un ruolo consacrato dalla storia e dalla memoria, che un incendio non pu� e non deve distruggere.
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